Eccomi qui, anch'io, come promesso, posto la recensione su Italo.
Siamo sempre noi, quelli di “Un mercoledì da leoni”, siamo meno di “Quella sporca dozzina”, siamo “8 amici da salvare”.
Ma salvare da cosa? Forse dall'obesità???? Ci piace ritrovarci al mercoledì per andare fuori a pranzo.
Siamo io (GROG), bicio, giorgio (amico di bicio), kava, frittella, damiani, patatone e aureliano.
E come qualche mercoledì fa, eccoci di nuovo davanti a un desco, ad un altro desco.
Abbiamo deciso così di dedicarci alle osterie e trattorie storiche. Bella iniziativa, dovremmo trovare però, come ha suggerito bicio, un nomignolo da attribuirci, magari per utilizzarlo per prenotare.
Tipo…vi ricordate “i ragazzi del muretto”? Magari sul genere, chessoio…. Idea!!! Forse ho trovato, usiamo una sigla, metti che diventiamo più di otto…..PPGL (originariamente era diverso, era ppfl, lo metto minuscolo, ma essendo a luci rosse, eviterei la traduzione) manterrei il nuovo. A proposito, il significato: Pan Parsut Gnocco & Lambrusc. Direi che per noi sarebbe l'ideale.
Beh dopo questa disquisizione, passo a raccontarvi l'ultima uscita mercolediana, già anticipata dal grande kava.
Come ha detto LUI, arriviamo per ultimi. Solita trafila del cellulare nella cassettina, frittella tira fuori scuse indecenti ma non riesce a portarselo dietro, io dico che non ce l'ho (in realtà era in tasca spento), Italo mi affronta a un metro dalla tavola e mi chiede se ho il cellulare, gli dico di no, lui mi assale e vuole vedere una tasca dalla quale si intravede la forma di un telefonino…. Diciamo che prova a prequisirmi, violazione della privacy? Nei telefilm e forse nella realtà se qualcuno vuole guardare in tasca ad un altro dovrebbe esibire un mandato di perquisizione con tanto di firma di un giudice…. Ma qui è diverso, fa parte del gioco. Non mi scompongo e lo accontento subito. Metto la mano in tasca ed estraggo……il portachiavi. Italo sbuffa e si ritira, questa volta l'ho vinta io.
Prendiamo posto sotto la tettoia, che oramai ha i suoi anni pure lei, è una vita che sta lì nottetempo a proteggere le crape dei crapuloni. Damiani ci comunica che il menù è già concordato. In tavola, credo, bottiglie di acqua, non so nemmeno se erano gassate o no, non ne ho bevuta. Come vino c'erano almeno un paio di bocce di “Ruggine”, un trebbiano prodotto da Italo. Buono, fresco, frizzante….andava giù abbastanza bene.
Cominciamo a sbevazzare intanto che Italo si aggira come un furetto fra i tavoli, scambiando ogni tanto battutine con i commensali, tutti in attesa che la pappa sia cotta. Finalmente, dopo un'interminabile quanto giusta attesa, il boss scompare e ricompare assieme al figlio e alla cameriera con la prima portata. Tortelli di ricotta al burro. Buoni, cotti perfettamente, ovviamente pasta tirata a mano, ripieno con ricotta predominante sulle erbette, che in realtà non ho neppure sentito sul palato, ma c'erano? Rimane qualche tortello nei piatti di portata, vediamo Italo che si avvicina, li spaviriamo in un batter d'occhio. Un'altra regola di qui è quella che non deve rimanere niente nei piatti. Ovviamente per otto boccucce sante come le nostre non ci sono problemi di sorta.
Spavirati i piatti arriva la nuova portata. Stricchetti caserecci al ragù. Stricchetti, o farfalle, fatti decisamente a mano, ragù molto buono, casalingo. Non è il migliore che ho mangiato fuori casa, ma sicuramente è il secondo. Su questi non ci facciamo compatire, spariscono velocemente. Nel frattempo abbiamo ordinato del rosso, vino Lambrusco di Sorbara DOC, che a me è piaciuto notevolmente, beh, io sono un amante dei Sorbaresi.
Finito di spavirare anche il secondo primo, arriva il secondo, gli arrosti, prosciutto costine e faraona. Prosciutto buono, non ha riscontrato grande successo, meglio, ne ho mangiato di più. Costine tenerissime, si staccavano con niente dall'osso, non c'era bisogno di succhiarle…. Faraona, una spanna sopra a tutto. Non sembrava nemmeno un volatile, era fenomenale. Come contorno le patate al forno con aceto balsamico. Veramente un grande contorno.
Puliti i piatti
Niente dolce per fortuna, ma gelato alla crema nel bicchiere con variegatura di aceto balsamico Italico, nel senso di Italo, di sua produzione. Una delle morti del balsamico è decisamente questa. L'ho mangiato anch'io, zuccheri o non zuccheri, alla faccia di chi mi vuol male.
Alla fine caffè, deca per me, e bottiglie varie di liquori sulla tavola: nocino, grappa gli unici che ricordo, non bevendoli non rammento che nomi avevano, tutti di fantasia…..ma suoi.
Prendo fiato e vado a visitare come di consueto la toilette, che qui, a differenza del resto del mondo, viene titolata, come tutte le altre porte in legno, con una piccola insegna lignea con scolpito cosa c'è oltre di lei, in dialetto modenese. In questo caso purtroppo non ricordo bene, mi sembra “CANTUNZ?IN”, ma non sono sicuro, come invece sono sicuro su ÁMM e DÁNN sulle porte dei due bagni interni, quello maschile ancora alla turca… e la porta della cucina CUS?INA. Anche il menù è in dialetto, oltre che in italiano.
Mentre gli altri bighellonano cincischiano attorno alle bocce di liquore, vedo Italo seduto da solo su una panchina. Mi alzo e vado a fare due chiacchiere con lui. Sempre affabile, completamente diverso da come è attorno ai tavoli. Gli racconto di alcuni aneddoti su di lui a cui ho assistito o dove sono stato protagonista. Lui mi guarda, col suo ciuffo bianco mosso dal venticello, e quel sorriso a 32 denti e mi chiede se volessi fargli un piacerone, io ammicco e sento cosa mi propone. Lui cerca qualcuno che raccolga tutti questi aneddoti, vecchi e recenti, più che si può, perché vorrebbe reccoglierli in un libro, avrebbe anche bisogno di qualcuno che lo scrivesse, non i soliti giornalisti modenesi, ma uno che scrive abbastanza bene. Mi ha chiesto una mano che io sono disposto a dargli volentieri. Lui si è creato nel tempo questo personaggio burbero e integerrimo, sarebbe bello che questa figura sfondasse il muro della storia.
Quindi faccio un appello a tutti coloro che leggono i miei papiri, se conoscete, per avervi assistito o per sentito dire, storielle su Pedroni, o conoscete persone che ne conoscono, per favore contattatemi per posta interna, se non siete iscritti a GustaModena iscrivetevi, e vediamo cosa ci salta fuori.
Sono d'accordo con Italo che fra un mesetto ci risentiamo e vediamo che novità ci sono…. Un grande grazie anticipato a tutti coloro che hanno a cuore la storia della gastronomia modenese.
Poi mentre parliamo del più e del meno, scopro aureliano che mi fotografa, mi piacerebbe tanto avere quelle foto.
Vedo che tutti si alzano e andiamo a pagare. 30 euro a capoccia.
Saluti e alla prossima “mercolediata” .
Sarebbero 4 cappelli, ma anche qui è una vita che ci vengo, ho troppi ricordi di amici con cui sono venuto e che non vedo più perché le nostre strade si sono separate, per rimanere solo a 4, per cui mi spingo oltre e salgo a 5. Tutto in onore del Grande Vecchio Canuto di Rubbiara.
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Per allietarvi la lettura, ho ricercato qualche notiziuola nelle miriadi di testi di cui dispongo, da cui appunto ho tratto queste memorie:
dal libro di Giorgio Maioli, Civiltà della tavola a Modena, Aniballi Edizioni Bologna, 1985.
«….Durante tutto l'Alto Medioevo italiano, furono i monaci di chiese, cattedrali, monasteri e fondazioni minori monastiche a esercitare interventi colonizzatori nel suolo che si dovranno rivelare fondamentali per lo sviluppo futuro delle campagne di tutta l'Europa Occidentale.
Intorno ai monasteri furono disboscate le terre e quindi bonificate e cominciarono a crescere e ad estendersi campi lavorati e vigne e si costruirono mulini e crebbero le abitazioni e, a mano a mano, sorsero veri e propri paesi dai primi nuclei di agglomerati urbani.
In Emilia una delle più cospicue realtà colonizzatrici fu quella di Nonantola, la cui proprietà abbaziale si andò allargando e concentrando particolarmente nella bassa pianura modenese e bolognese: erano migliaia di ettari di terre coltivate, di paludi e di grandi foreste dove si allevavano a brado i suini e dove si traeva il legname destinato alle costruzioni.
Fu soprattutto verso gli ultimi anni dell'Alto Medioevo che si ebbe nelle proprietà nonantolane un'agrarizzazione del suolo efficiente, accompagnata da un aumento progressivo del popolamento delle terre che aumentavano in virtù di donazioni di re, imperatori, di nobili, di medi e piccoli proprietari che ebbero il merito (e forse il vanto) di aver contribuito a incrementare la già sterminata ricchezza fondiaria dell'Abbazia.
Proprio per questi motivi, i monaci si trovarono quasi nell'impossibilità di lavorare direttamente i terreni: nacquero così le enfiteusi e da qui il sistema della partecipanza agraria. Erano gli anni in cui miglio, pànico e sorgo venivano coltivati e consumati dall'uomo, assieme al frumento e alla segala e i monaci dovevano compiere lunghe trasferte per poi restare sulle campagne, nelle “celle”, che erano anche i luoghi di raccolta dei prodotti delle aziende.
Nei dintorni di Nonantola, come a Rubbiara, i monaci giungevano il mattino per ritornare all'Abbazia a sera, ma durante la raccolta essi restavano a dormire nei casolari che erano stati costruiti generalmente all'incrocio di strade di transito. A Rubbiara, infatti, vicino alla “cella” di raccolta, era stato eretto anche una specie di ostello che serviva quale rifornimento di vivande per coloro che giungevano da Modena ed erano diretti a Nonantola. Di qui, infatti sarebbe passata più tardi la strada che i duchi estensi facevano di consueto per andare da Modena a Ferrara e viceversa.
Rubbiara, con la sua “cella” trasformata in osteria verso la metà del Settecento, divenne dunque un punto di sosta: i cortigiani e gli stessi duchi estensi, quando partivano da Modena si fermavano qui per uno spuntino prima di ripartire per Ferrara. Il luogo era rinomato soprattutto per il vino, la “cella-osteria” era infatti circondata da numerosi vigneti che producevano vino lavorato dai monaci e da agricoltori enfiteuti: lo testimonia anche un documento trovato nella chiesa di Rubbiara nel 1862 da Italo Pedroni, l'attuale “oste” della trattoria di Rubbiara, discendente diretto di quel Giuseppe Pedroni che nel 1887 rilevò l'ex-convento con la locanda da un garibaldino, un tale Piccinini, che aveva istituito pure un servizio di vendita tabacchi, come provano le bollette di carico e scarico del tabacco, datate intorno agli ultimi anni dell'Ottocento.
Da cinque generazioni i Pedroni sono proprietari di questa locanda, forse tra le più vecchie del territorio modenese, dove ancora si respira aria di tempi antichi. La licenza passò di padre in figlio per finire al pronipote Italo, il quale rimasto orfano a dieci anni, è cresciuto con l'impegno di mandare avanti la locanda con la madre.
“Naturalmente, tirando anche avanti la bottega di alimentari ? ricorda oggi Italo Pedroni ? per superare i tempi bui. Continuammo però a fare panini e vendere vino. Poi si sa come accade in queste cose: dai panini si passa al piatto di minestra e così mentre mia madre pensava alla cucina, io servivo i clienti. Quando mi sono sposato, mia moglie Franca è venuta a dare aiuto in cucina. Allora abbiamo fatto il salto di qualità e abbiamo aperto una trattoria più grande e restaurato questi muri che hanno un sapore di autenticità.”
Così com'è stata ristrutturata la vecchia “cella-locanda”, è stata recuperata l'immagine quattrocentesca, quando i frati dormivano qui per lavorare la terra.
La costruzione è solida, dimostra quasi intatta la tipologia originale coi contrafforti e la tipica pianta quadrata. Com'è rimasta originale la struttura muraria, così sono rimasti genuini i piatti che ogni giorno escono dalla cucina dei Pedroni. “Sono piatti che appartengono alla tradizione e alla vecchia cucina modenese ? precisa Italo Pedroni ? Io sono nato qui, alla scuola di mio nonno e di mio padre, non potevo fare diversamente: ristrutturare la vecchia casa e rispettare i piatti che sono sempre stati preparati qui. Anzi, sono riuscito a riportare alla luce dagli archivi qualche piatto degli Estensi, come il “pollo al Lambrusco”, un piatto semplice da preparare ma veramente sublime anche perché proviene dalla storia. Il pollo cotto interamente nel Lambrusco era uno dei piatti preferiti da Ercole II d'Este. Devo dire che ha incontrato anche il favore dei clienti tanto che dal menu dell' ”osteria” ho eliminato da tempo ormai, il pollo alla cacciatora e anche il “pollo al limone” per tenere in menu solo questo “pollo al Lambrusco”.”
Ma non è l'unico piatto che Italo Pedroni ha strappato al segreto della cucina estense, anche se egli è riluttante a parlarne e si nasconde dietro il paravento di un'apparente burbanza, che però ottiene l'effetto di intimorire i clienti quando, alla tavola di Rubbiara, essi devono accettare di buon grado il menu che Pedroni impone senza alternative.
Esiste dunque un'altra ricetta ducale i cui ingredienti si cuociono sempre col Lambrusco ma, a differenza del pollo, i componenti sono numerosissimi: faraona, coniglio, anitra selvatica, piccione e infine anche il pollo. E ogni carne viene bollita a parte, poi si raccoglie il brodo di ogni cottura.
“Il brodo dev'essere piuttosto ristretto e ciò significa che si devono fare bollire a lungo le carni”, interviene Italo Pedroni. “Quindi si preparano le singole carni tagliate e messe insieme in una teglia per completare la cottura e, a mano a mano, si rovesciano sulle carni i brodi preparati. Nella stessa miscela di brodo si cuociono a parte delle patate per il contorno.”
L'ultimo ingrediente, prima che la cottura delle carni si completi, è naturalmente il Lambrusco che viene aggiunto nella seconda fase di cottura col brodo. ? quindi, un piatto piuttosto laborioso: Italo Pedroni dice che occorre almeno mezza giornata per la sua preparazione. I cucinieri estensi, non impiegavano meno di una notte intera per questo piatto che ripropone gli scenografici trionfi della tavola modenese ducale.
E le minestre? A Rubbiara non si esce dalla regola delle tre minestre classiche modenesi, ossia tortellini in brodo (mai asciutti! non è il caso di chiederli affatto se non si vuole essere messi alla porta con gentilezza ma con fermezza!), tagliatelle e tortelloni. Qualche giornata in tavola ci sono anche i maccheroni al pettine e il venerdì gli spaghetti col tonno.
Tuttavia c'è un piatto di minestra in più, da pochi mesi, ossia da quando Italo Pedroni ha scoperto, in un ricettario del bisnonno Giuseppe, una formula che fa coincidere a perfezione gli spaghetti con il gusto dolce e pregnante dell'aceto balsamico. “Erano alcuni anni che cercavo di scoprire perché non si parlava di aceto balsamico nella storia di Rubbiara ? dice ancora Italo Pedroni ? considerando che la nostra famiglia da sempre, si può dire, ha prodotto del balsamico che, senza presunzione, posso dire sia tra i migliori della provincia modenese.”
In un locale ricavato nella vecchia stalla, ma a contatto col tetto, come si conviene alle inflessibili regole del balsamico, ci sono oltre cento vascelli, in fila come soldati, una schiera di barilotti dentro i quali, bolle e ribolle, di anno in anno, un aceto secolare, che ha fatto vincere a Pedroni, per tre volte, il famoso palio di Spilamberto, nel ?77, nel ?79 e nel ?81.
E proprio il ricco e nobile aceto balsamico è l'ingrediente principale di un piatto, fra i tanti descritti nel ricettario del bisnonno che un bel giorno Italo Pedroni ha ritrovato tra le carte di famiglia: sono piatti di origine povera, i cui ingredienti provengono dall'orto e dai prodotti della campagna, poca carne ma molte verdure. La ricetta che Pedroni ripropone oggi, come precisa in una nota il bisnonno Giuseppe, veniva preparata soprattutto nelle giornate di festa e per le occasioni solenni.
Sono “spaghetti all'aceto balsamico” il cui condimento è costituito essenzialmente da verdure. Italo Pedroni lo chiama, impropriamente, ragù, perché egli afferma che molte verdure si possono preparare come si prepara la carne e l'effetto finale è quasi il medesimo: ha ragione, e questo piatto di spaghetti ne è la prova più solare. Il “ragù” viene dunque preparato con carote, spinaci, sedano, finocchio portati a cottura con burro e conserva. A parte, naturalmente, si preparano gli spaghetti, tenuti però al dente. Una volta scolati si aggiunge il condimento mescolato all'aceto balsamico in giusta misura, né tanto né poco.
Nello sfondo della cucina di Pedroni c'è dunque non solo il rispetto per la tradizione ma anche il desiderio di mantenere vitale l'apporto della campagna: Rubbiara è al centro di una vasta zona di terreni e di vigneti da cui Pedroni trae buona parte dei suoi ingredienti per la tavola. Lavora direttamente il vino che produce con un equilibrato uvaggio di Albana e Trebbiano e di Montuni e Sauvignon, senza dimenticare un Lambrusco sorbarese di rara bontà. Da qualche anno Pedroni spumatizza col metodo Champenois una parte del suo Trebbiano, su quasi tre ettari di vigneto che producono anche l'uva per il rimbocco dell'aceto balsamico. Sempre dalla terra trae la frutta che serve per i liquori: dall'arancino al laurino, dal nocino all'infuso di ciliegie, ai mirtilli.
A sera, Rubbiara ritorna l'antica osteria, quando i vecchi contadini del luogo si trovano attorno alle tavole, per bere un bicchiere di vino e magari per una partita.
In quei momenti, immagini e ricordi riemergono dal passato….»
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Sempre dallo stesso testo ho estrappolato queste ricette…..ovviamente di Italo.
MACCHERONI AL PETTINE
Ingredienti: 400 gr. di farina, 4 uova, 100 gr. di manzo, 100 gr. di polpa di maiale, 4 cucchiai di sugo di pomodoro, 1/2 cipolla, burro, sale e pepe, formaggio grana parmigiano-reggiano.
Attrezzi: 1 matterello, 1 tagliere, un bastoncino di 15cm, un pettine da tela.
Con la farina e le uova preparate una pasta ben amalgamata, tiratela sottile con il matterello, tagliatela a quadretti di 3cm di lato, avvolgete il quadretto attorno al bastoncino partendo da un angolo quindi fate scorrere il bastoncino sui fili del pettine per rigarlo e sfilate il bastoncino.
Per il condimento rosolate la cipolla tritata nel burro, aggiungete il manzo e la polpa di maiale tritati non troppo finemente e fate cuocere a fuoco lento per circa 40 minuti, unite il sugo di pomodoro, sale e pepe e completate la cottura. Cuocete i maccheroni in acqua abbondante per qualche minuto, scolateli e condite con il ragù e il formaggio grattugiato.
MISTO DI ERCOLE II D'ESTE
Ingredienti: 1 faraona, 1 piccione, 1 coniglio, 1 anatra (germano reale), 1 pollo, 4 cipolle, 4 bottiglie di vino Lambrusco, 1kg di patate, olio, farina, sale.
Tagliate le carni separatamente a piccoli pezzi e fatele cuocere in acqua, sempre in tegami separati, fino a metà cottura. Tagliate le cipolle a listerelle e fatele rosolare in una grande padella con olio, quindi unite tutti i pezzi di carne, scolati e passati nella farina, e cuocete per qualche minuto. Aggiungete un poco del brodo di pollo e fate cuocere a fuoco lento, versate poco alla volta il vino Lambrusco ultimando la cottura, dopo aver cosparso le carni con un impasto di sale e rosmarino tritato. Tagliate le patate a tocchetti, dopo averle pelate: cospargetele con sale e rosmarino tritato, unite l'olio e mettete in forno, ricordandovi di voltarle di tanto in tanto. Quando la carne sarà cotta servite con il contorno di patate arrosto.
Se volete potete anche consultare il suo sito, dove potrete trovare altre interessanti informazioni:
http://www.acetaiapedroni.it/default.php?t=site&pgid=1
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A-v salut magnadôr bóss, arváddres….
Imperdibile!!!
[Piggo]
23/05/2009