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La lavagna - Modenesità

Palaganeide (Poemetto Eroicomico) - Tanino / Canto Terzo

GROG
Scritto il 05/04/2009
da GROG
CANTO TERZO

ARGOMENTO

Dentro la pozza i bravi montanari
Rivedono la luna; ma la beve
Un assetato stuolo di somari,
Che mortal punizion tosto riceve:
Intanto i somarelli si fan rari,
E la mancanza a tutti divien greve,
Onde, tanto malanno a rimediare,
uova d'asina vanno a comperare.




Questo canto feral dedico a voi
O soavi cantor dai lunghi orecchi,
L'eccidio in ascoltar dei vostri eroi
Certo vi coleran lacrime a secchi;
Ma tergete quel pianto, che fra noi
Sempre v'appelleran, giovani e vecchi
Martiri della scienza e dell'ingegno
Del grande già palaganese regno.

Tutto dolente il sommo Bortolino,
Dopo L'Eclisse dell'astro famoso,
Due volte al dì, la sera ed il mattino,
Saliva il noto colle, ed affannoso
A meditar fermarvasi il tapino
Sulla riva del pozzo doloroso,
Dove gli stinchi s'erano intrecciati
E i preteriti avevano inzuppati.

Né sapea persuadersi il gran scienziato
Come una luna fresca e ben composta,
Che ogni fase calante avea passato,
Volesse rimaner tanto nascosta;
Ed esclamava mezzo disperato :
a Par proprio che lo voglia fare apposta!...
Gli altri quarti aver visto poco giova,
Se non vediamo ancor la luna nuova! »

Così gemea quel saggio : ma una sera,
Mentre volgea la luna ad occidente,
Dentro a quel pozzo, come in una spera.
Ei ne mira l'immagine splendente...
Credendola la sua vivente e vera,
Per poco non gli prende un accidente,
E comincia ad urlar all'impazzata :
a L'ho trovata, figlioli, l'ho trovata!... »

A quelle strida i bravi casigliani
Corrono in frotte su dalle convalli,
Ansanti e trafelati, come cani
Dietro alla lepre per gli alpestri calli :
Fanno salti da capra e sbalzi strani,
Colan spuma e sudor come cavalli,
Per giunger prima della pozza in riva
A contemplar la luna rediviva.

E qui, con un fracasso indiavolato,
Che neppur Bortolin potea sedare,
Incominciò quel volgo entusiasmato
A stabilir quel che doveasi fare :
Ma dopo aver urlato e schiamazzato
E tornato ad urlare e a schiamazzare
Mancò loro la voce, e finalmente
Si tacque ognun senza decider niente.

Di Palagano il saggio solo allora
Quei furiosi potè far persuasi,
E urlò sdegnato : « Andate alla malora,
Che un ramo di pazzia v'ha tutti invasi
Corriam piuttosto a casa, ed in brev'ora
Riuniam secchi, bigongi ed altri vasi,
E cerchiam questa pozza di vuotare,
E la luna dall' acqua ripescare ».

Come in gennar la compagnia dei gatti,
Che stranamente miagolan sull'aia,
Di qua e di là fuggir si vedon ratti
Se affacciasi gridando la massaia,
Del capo alle parole anche quei matti,
Quai maccheroni dentro la caldaia,
Precipitano giù per quelle chine,
In cerca di paiuoli e di mezzine.

E tosto ricomincia un parapiglia
E di voci un miscuglio generale;
Chi grida alla mogliera e chi alla figlia :
a Presto il bigongio, il coppo, l'orinale »
Anche giù a basso tutto si scompiglia,
E su pei greppi in breve tempo sale
Di latte, ferri e rami un tal concento,
Da far fuggir le streghe a Benevento.

Ma la luna, che forse aveva fretta,
I monti sormontò, raggiunse i mari,
Lasciando sulla piazza alla vedetta
Un sitibondo gregge di somari,
Che ritornando da brucar l'erbetta
Beveano un gotto, d'ogni cosa ignari,
Accompagnando coi ragli sonori
Dei vasellami i già vicini cori.

Immagina, lettor, lo sdegno orrendo
Di quel popol deluso alla venuta!
Più la luna nel pozzo non vedendo
Dan la colpa ai somar che l'han bevuta.
« Ah, grida Bortolin, quasi piangendo,
Rie bestie, l'ora vostra è ormai battuta! »
Ma i ciuchi per risposta alla minaccia,
Gli fanno una ragliata sulla faccia.

Furiosi allor sugli asini ribelli
Quei forti si riversano a torrenti :
Guizzan sassi, bastoni, ascie, coltelli,
E chi non può far altro adopra i denti :
Nascono in breve si orridi macelli,
Quali giammai si vider fra le genti;
Di morti ciuchi cresce l'atra fossa
E l'acqua n'esce fuor di sangue rossa.

Frattanto il montanaro Salomone,
Che pensa ogni momento alla sua luna,
Si fa portar sull'orlo d'un ciglione
Le interiora dei ciuchi, e ad una ad una
Le fruga e palpa con grande attenzione,
Ma di lune non trova traccia alcuna;
Per cui buzzi e budella getta via,
Maledicendo ciuchi e anatomia.

Paghi però non sono ancor gl'insani;
Ma scendono a Palagano, e feroci
Quanti ciuchi dan loro fra le mani
Ne sbranan tanti fra tormenti atroci :
Su quel carname fan gazzarra i cani.
Cui gufi, falchi e corvi vengon soci,
Lasciando sparse del Dragon le prode
Di lunghe orecchie e d'asinine code.

Sventura! che di Modena il zampone,
Oppur le bolognesi Mortadelle
Non eran di quel secolo invenzione . . .
Se un tale assortimento di mascelle
Avesse avuto ai giorni suoi Sansone
A tutti i Filistei facea la pelle.
Al certo fra corame, carne ed ossi
C'era da far fortuna per quei fossi.

Però il fatal eccidio a quella gente
Porta di ciuchi tale carestia.
Che tosto di danno ognuno ne risente
E maledice la sua stizza ria;
Ma il dolor tardo giunge inutilmente,
E la palaganese compagnia
E' astretta, fra incredibili molestie,
A far le parti d'uomini e di bestie.

Ma stanchi un giorno di portare a spalle
E di trainar le « benne » per le chine,
Salir da Bortolin pel noto calle,
Per implorare a tanto mal confine;
Raunolli il savio in un'estesa valle
E, ascoltati i lor guai fino alla fine,
Tenne al suol le pupille alquanto fisse,
Alzolle poscia ed ispirato disse :

« Queste al certo non son facili imprese
Perchè, o figlioli, conoscete a prova
Che tanti ciuchi importan gravi spese . . .
Ma credo che a Sassuol ne vendan l'ova;
Mandiam dunque a pigliarne in quel paese;
Così potrem con un'industria nuova
Palagano di ciuchi popolare,
E non pochi denari risparmiare ».

Disse, e del sommo alla sublime idea
Fè plauso tutto il giudizioso stuolo;
Egli frattanto in mezzo all'assemblea
Sei fra i più degni di quel degno suolo,
Per la nobil missione prescegliea,
E indicando la strada di Sassuolo,
« Andate, disse, e arrida la fortuna
Agl'inventori della nuova luna ».

Preso commiato dal sapiente duca,
La compagnia felice all'indomani
Si mette in viaggio pria che il sol riluca,
Chiedendo per la strada ai popolani :
« Sapete voi chi venda ova di ciuca? »
Questi, ascoltando tali detti strani,
Esclaman sorridendo : « Certamente
Da Palagano scende questa gente ».

Tali risposte udendo, i viaggiatori
Dal contento non stan più nella pelle,
E, prendendo una posa da signori,
Ne pensano e ne sballan delle belle :
Dicon tra lor: « Vedete quanti onori!
Certamente al disotto delle stelle
Palagano è una terra fortunata,
Se ci conoscon fino alla parlata ».

Giunti a Sassuol, si diedero a osservare
Per tutti i bugigattoli e cantoni,
Quando una ciuca videro passare
Che portava due cesti di melloni :
Al vederli essi presero a esclamare :
« Che siano di somara questi ovoni? »
Li udì il padrone e disse : « Non vedete?
Son proprio ova di ciuca, orbi che siete! »

« Ah, son ova di ciuca! In verità
Ce l'eravamo quasi immaginato;
Fermate, galantuom, venite qua
Che si potrebbe fare un buon mercato :
Mostrate l'ova e, intesi che si andrà,
Non vi vogliam per nulla aver fermato;
Siam buoni pagatori, e lo vedrete
Se un prezzo troppo forte non farete ».

Fermossi il mellonaro e prese a dire :
« Un soldo costan l'ova di galline
E una gallina almeno un par di lire :
Ora un ciuco ne vale otto ventine;
Per cui, senza star qui tanto a piatire,
Fateci bene il conto, ed alla fine
Troverete che l'ova di somare
A quattro lire l'una non son care ».

« Quattro lire!... Ma via, che vi pensate
Che d'uova di somar non c'intendiamo?
La potrà ber chi non ne ha mai comprate,
Non però noi, che del mestier viviamo.
Non siamo a vezzi a far tante scenate,
E un'unica proposta vi facciamo :
Tutto il carico noi vi sgombreremo
E uno scudo per ovo vi daremo ».

Comprese tosto il bravo mellonaro
Che avea da far con gente di buon naso
E, benché fosse un pochettino avaro,
Restò a quella proposta persuaso,
E prese a dire : « Allor parliamo chiaro,
Se le prendete tutte è un altro caso!...
Non ci guadagno è vero nel contratto;
Pur qua la mano che il tralocco è fatto.

« Però alla gente non l'andate a dire,
Che non voglio avvilir la mercanzia;
Ma dite che vi costan quattro lire...
Prendete dunque l'ova e andate via,
Perché a star troppo qui posson patire :
Mettetele a covar con maestria,
E dopo un dieci giorni di covata
I ciuchini faranno una ragliata ».

« Mettetele a covar... Questo è palese,
Ma dove troverem la bestia adatta?
Sappiate che a Palagano da un mese
I somari hanno avuto tal disfatta,
Che potete girar tutto il paese
E una ciuca che cova non si accatta;
Ma speriam che la vostra ci darete,
Se buona da covar la crederete ».

« Se è buona da covar? Oh, questa è nova!...
Credevo che l'aveste esaminata...
Povera ciuca mia, cova e ricova,
Guardate come è magra e spelacchiata!
Per covare una egual non se ne trova :
Però trecento lire m'è costata... »
« E noi ve ne daremo quattrocento,
Via, non dite di no, siate contento ».

« Là pur... prendeste l'ova...; eppoi con voi
A stare a bisticciar non c'è vantaggio :
Ma che le cose restino fra noi!...
Andate dunque, e il ciel vi dia buon viaggio ».
Disse, e s'accomiatò dai nostri eroi,
Che pieni di speranza e di coraggio,
Sulla ciuca assestar la mercanzia,
Poscia dei monti ripigliar la via.

La somara, che in pie reggeasi appena,
Saliva su pei greppi barcollando;
Facevano i due cesti l'altalena
E l'ova si baciavan traballando;
Ma giunti su di una collina amena
Un mellon cadde a terra e ruzzolando
Andò a spaccarsi (cosa invero strana)
D'un lepre che dormia presso la tana.

L'insolito rumore in ascoltare,
Il timido animal fugge dal covo :
Vedonlo i bravi e prendono a esclamare :
« Guarda, guarda il ciuchino ha rotto l'ovo!
Corriamo, amici, andiamolo a pigliare,
E porteremo a casa un ciuco nuovo!... »
Ma intanto ch'essi gridan : piglia! piglia!
Il leprotto ha già fatto quattro miglia.

Quest'avventura fu il tema giulivo
Di lor parlar nel resto del cammino,
Fu la prima notizia che all'arrivo
Diedero ai cari amici, a Bortolino
E a tutto quanto il popol, che festivo
Accorrea da lontano e da vicino,
Per veder l'ova e la famosa ciuccia
Ed aiutare a preparar la cuccia.

Ben tosto sopra morbida lettiera,
Nella stalla miglior della borgata
Depongon l'ova con gentil maniera,
Poi vi guidan la ciuca fortunata;
Ma la trovan così ribelle e altera,
Che, in vece di coprir la sua covata,
Con un paio di calci e un urto solo
Quattro ne manda ad annusare il suolo.

Grida allor Bortolin tutto furente :
« Eppur, voglia o non voglia, ha da covare!
Ho pronto un sicurissimo espediente,
Per far quella testarda accovacciare;
Cercate una mannaia ben tagliente,
Eppoi le gambe andatele a mozzare;
Vedrete che in tal modo obbedirà
E a marcio suo dispetto coverà ».

La ria sentenza venne effettuata;
Ma la cocciuta bestia rantolando
Cadde sull'ova e fece una... frittata,
E i tronchi moncherini dimenando
Lordò di sangue il suolo e la brigata;
Ma neppur quel castigo memorando
Della proterva dissipò la noia,
Che invece d'obbedir tirò le cuoia.

L'improvvisa sventura sulla faccia
D'ognun dipinge il duolo e il disinganno;
Bortolin non sa più quel che si faccia
Ed urla in preda al più crudele affanno :
« Dell'asinar conviene andare in traccia,
Perché trovi un rimedio a tal malanno!... »
I sei compagni allor, senza dir motto,
La fatta via ripigliano di trotto.